di Elena Capovilla, psicoterapeuta corporea

Tratto da: “La Guida alla Teoria Polivagale” di S.W.Porges

E’ sorprendente quanto il ruolo fondamentale della “sicurezza” nella nostra vita, per la nostra salute, venga ignorato dalla maggior parte delle nostre istituzioni, soprattutto in un momento storico come questo soverchiato da incessanti minacce fisiche e psicologiche.

Ci si chiede se tale incuranza sia dovuta a una sostanziale confusione di fondo, educativa e sociale, su ciò che dobbiamo intendere per “sicurezza”.

La società occidentale, e le conseguenti strategie educative, hanno da sempre conferito maggior valore ai pensieri anziché alle sensazioni fisiche, enfatizzando i processi mentali, coltivando le funzioni cognitive, minimizzando invece la conoscenza delle sensazioni provenienti dal nostro corpo.

Tuttavia è di fondamentale importanza considerare che quando si tratta di identificare la sicurezza da una prospettiva di sopravvivenza adattiva, la “saggezza” risiede nel corpo e nelle strutture del nostro sistema nervoso che funzionano al di fuori del campo della consapevolezza: le nostre valutazioni cognitive di rischio giocano un ruolo secondario rispetto alle nostre reazioni viscerali verso le persone e i luoghi.

Il processo neurale che valuta il rischio senza la necessità di consapevolezza viene chiamato dal ricercatore S. Porges “neurocezione”. In accordo con questo aspetto, gli effetti debilitanti e stressanti delle minacce alla nostra salute fisica e mentale dipendono maggiormente dalle nostre risposte corporee anzichè dalle caratteristiche fisiche dell’evento. È il nostro modo di reagire agli eventi che li definisce come più o meno stressanti, non la caratteristica dell’evento in quanto tale: non è l’evento che caratterizzerà il nostro stato di stress, ma il modo in cui ognuno di noi lo affronta.

Questo perchè i processi mentali, le esperienze soggettive, sono strettamente correlati a risposte fisiologiche quali ad esempio la respirazione, la frequenza cardiaca, l’attività vasomotoria o elettrodermica.

Dalle ricerche di Porges si è visto come la sola variabilità della frequenza cardiaca di ognuno di noi influenza la nostra prestazione cognitiva, la regolazione dello stato comportamentale, la sensibilità agli stimoli ambientali, alle diagnosi psichiatriche, alla forma e alla resilienza mentale e fisica.

Già nel 1900 inoltre il fisiologo tedesco Hering ricordava che le fibre vagali cardioinibitorie mostrano una frequenza di scarica che segue l’andamento della respirazione.

Ciò significa che noi possiamo utilizzare la respirazione come strumento per manipolare lo stato fisiologico verso un livello più ottimale di regolazione vagale.

Nel 1995 Porges presentò “la teoria polivagale” come base per una scienza mente-corpo che spiegasse l’importanza dello stato fisiologico nell’influenzare il comportamento e la nostra abilità di interagire con gli altri. Questa teoria, supportata da ricerche ed esperimenti di psicofisiologia, mostrò quanto il “rischio” e la “minaccia” spostano il nostro stato fisiologico a supporto del sistema di difesa ma, soprattutto, mise in luce che la “sicurezza” non è rappresentata dalla rimozione della minaccia.

La “sensazione di sicurezza” dipende da indici unici nell’ambiente e nelle nostre relazioni che possiedono la capacità di inibire attivamente i circuiti di difesa e di promuovere la salute e le sensazioni di amore e fiducia (Porges, 1998).

La teoria iniziò quindi a spostare le caratteristiche che definiscono il concetto di sicurezza da un modello strutturale di controllo dell’ambiente (con recinzioni, metal detector, e telecamere di sorveglianza) a un modello di sensibilità viscerale che riguarda il modo in cui le persone vengono trattate affinché possano fidarsi.

Ma perché abbiamo così tanto bisogno di sicurezza?

Secondo la teoria di Porges, la transizione evolutiva da rettili a mammiferi ha prodotto un sistema nervoso capace di identificare quale conspecifico fosse sicuro avvicinare e toccare. Questa capacità adattiva, che richiedeva meccanismi neurali in grado di disattivare le strategie difensive rettiliane, fu attivata e guidata da più bisogni biologici:

– per sopravvivere i mammiferi necessitano di interdipendenze sociali a lungo termine (l’isolamento è traumatico e ne compromette gravemente la salute);

– alla nascita i mammiferi necessitano di cure specifiche delle loro madri;

– il sistema nervoso stesso dei mammiferi richiede ambienti sicuri per poter svolgere varie funzioni biologiche e comportamentali che includono la riproduzione, l’allattamento, il sonno e la digestione (soprattutto nei periodi di maggior vulnerabilità: gravidanza e infanzia).

E’ solo all’interno dello “stato di sicurezza” inoltre che, per soddisfare queste funzioni biologiche, è stato possibile incrementare maggiori capacità di espressione di comportamenti pro-sociali e di regolazione delle emozioni. Si è notato infatti che questi circuiti non sono invece accessibili in condizioni di ambiente pericoloso e minaccioso per la vita, nè funzionano in maniera appropriata in diversi disturbi fisici e mentali.

I circuiti neurali che supportano il comportamento sociale e la regolazione delle emozioni sono disponibili solo quando il sistema nervoso ritiene l’ambiente sicuro, a indicare quanto questi circuiti siano coinvolti nella salute, nella crescita e nel recupero delle energie.

Gli stati di sicurezza inoltre sono un prerequisito non solo per il comportamento sociale ma anche per essere creativi e produttivi.

Ci si chiede quanto la nostra società, profondamente intrisa di modelli valutativi, sia in grado di fornire opportunità appropriate e sufficienti per fare esperienza di ambienti sicuri e di relazioni piene di fiducia.

I modelli valutativi infatti, quando applicati in maniera cronica, spostano anch’essi lo stato fisiologico verso il sistema di difesa. E gli stati fisiologici che supportano il sistema di difesa sono incompatibili con quelli che supportano la creatività e le teorie innovative.

Riflettere su queste conoscenze scientifiche del nostro modo di funzionare ci riporta quindi allo stupore iniziale: quanto questo bisogno di sicurezza viene insegnato e supportato nella nostra società? Quali sono le priorità della nostra cultura nel rispettare i bisogni individuali per la sicurezza? Quali sono le caratteristiche delle nostre istituzioni (come quelle educative, i governi e i centri di trattamento medico) che promuovono gli stati di sicurezza?

Una volta che ci siamo resi conto che le esperienze all’interno delle nostre istituzioni sociali sono caratterizzate da continue valutazioni che innescano sensazioni di pericolo e di minaccia, possiamo comprendere come queste istituzioni possano essere tanto disturbanti per la salute quanto l’instabilità politica, la crisi economica o la guerra.

I disturbi clinici quindi esplodono perché vi è un’incapacità dell’organismo ad abbandonare determinate strategie difensive per far posto all’attivazione spontanea dei processi di coinvolgimento sociale.

Abbiamo bisogno di comprendere profondamente quali caratteristiche del mondo distruggono il nostro senso di sicurezza (e renderci conto del costo di questo sistema sulla nostra salute) e, riconoscendo la nostra vulnerabilità al pericolo e alla minaccia, dobbiamo iniziare a rispettare l’importanza del sistema di coinvolgimento sociale nello smorzare i nostri sistemi di difesa iperattivati, nel permetterci di formare forti legami sociali che supportino la salute, la crescita e il recupero delle energie.

Il calmarsi dello stato fisiologico infatti promuove opportunità di creare relazioni sicure e fiduciose che a loro volta aumentano le opportunità di co-regolare lo stato comportamentale e fisiologico. Questo “circolo” di regolazione definisce relazioni sane in cui è la relazione stessa a supportare sia la salute mentale che fisica.

Se ci troviamo in uno stato caratterizzato da un’attivazione simpatica invece siamo “sintonizzati” solo per la difesa, e non per la promozione di indizi di sicurezza o per rispondere positivamente a indizi di sicurezza.

Fortunatamente, anche quando siamo iperattivati, il nostro sistema di coinvolgimento sociale, se opportunamente stimolato, può coordinare gli indizi di sicurezza attraverso la voce e l’espressione facciale, al fine di diminuire l’attività di difesa in noi stessi e negli altri. La coordinazione tra questi sistemi quindi facilita la connessione sociale, cioè connettersi e co-regolarsi con gli altri rappresenta il nostro imperativo biologico che si manifesta dentro di noi in un’intrinseca ricerca di sicurezza, realizzabile solo attraverso relazioni sociali positive in cui co-regoliamo il nostro comportamento e la nostra fisiologia.

È quindi di fondamentale importanza conoscere in che modo innescare sensazioni di sicurezza dentro di noi e negli altri per essere di supporto a noi stessi e nelle nostre relazioni sociali, siano esse amicali, lavorative, famigliari.

Non solo, diventa ancor più importante diffondere e incrementare un nuovo modello sociale ed educativo che si sganci da sistemi valutativi e semini invece relazioni di fiducia e di cura.

La teoria Polivagale di Porges quindi spiega scientificamente come mai la Psicoterapia Corporea Funzionale lavori con grande attenzione sul ripristino delle Esperienze Fondamentali della Protezione e delle Sensazioni.

Sul poter sperimentare, attraverso tecniche psicocorporee ma soprattutto attraverso la relazione col terapeuta, quel poter tornare “piccolini”, al sicuro, senza doversi occupare e preoccupare di nulla, almeno in un luogo della propria vita. Quello stato di calma rigenerante. 

Perché è solo da lì, Porges lo dice chiaramente, che può riprendere il processo di ascolto e conoscenza di Sè, di contatto profondo con i bisogni di base del proprio organismo. 

Durante una Psicoterapia Corporea infatti le persone vengono guidate a cogliere e a riconoscere i segnali del proprio corpo, il suo linguaggio comunicativo, a denominarle, a effettuare quella delicata quanto preziosa operazione di separazione tra sensazioni e pensieri, tra descrizione delle proprie sensazioni e giudizi sulle proprie sensazioni, tra l’osservarsi con curiosità e benevolenza anzichè in modo critico ed evitante.  Attraverso una profonda riconnessione con i propri bisogni inoltre, dentro l’ambiente relazionale protetto della terapia, le antiche ferite, prima sepolte e congelate in una generale anestesia corporea, possono tornare a riemergere senza paura, come piccoli fili d’erba al disgelo, bisognosi di calore, di spazio, di nutrimento.

Offrire loro accoglienza, comprensione e significato, è ciò che permette l’inizio del processo di cambiamento. Lo scioglimento delle proprie corazze ghiacciate, all’interno della relazione di fiducia, permette di tornare a sentire il proprio corpo e a percepire i colori del mondo e le reazioni degli altri in modo più nitido, più coerente con la realtà, meno inquinato dalle ferite emotive delle esperienze passate.

PAURA E SENSO DI SICUREZZA