“Il genere è il primo terreno nel quale si manifestano le differenze di potere” J. Scott
Spesso si crede che il sesso di una persona determini necessariamente anche il suo modo di stare al mondo e le sue scelte.
Fin da piccoli siamo portati a pensare che bambine e bambini si comportino in maniera diversa in base al sesso, senza valutare le caratteristiche individuali, le predisposizioni caratteriali, la società di provenienza, i gusti personali. Ognuno di noi rischia di diventare lo specchio di un modello imposto arbitrariamente dalla nascita.
Il sesso però non è il genere. Il sesso è l’insieme delle caratteristiche biologiche e genetiche di una persona. Il genere indica invece i tratti sociali e culturali che danno significato al sesso. E’ l’insieme delle qualità che distinguono la mascolinità e la femminilità come risultato di una costruzione sociale.
Il genere, in breve, è una costruzione sociale.
Le differenze di genere sono decodificate attraverso l’uso di stereotipi, che veicolano un’immagine rigida e semplificata della realtà. Il contenuto degli stereotipi è ancorato alla divisione dei ruoli e dipinge, ad esempio, la donna come un essere amorevole, sensibile, capace di sentimenti profondi, e l’uomo come un essere sicuro e determinato, razionale, adatto alla leadership.
Gli stereotipi semplificano i fatti, poiché rappresentano gruppi e non singoli individui e portano spesso ad interpretazioni errate degli individui, anche quando esiste un contatto diretto con questi.
Le rappresentazioni che i gruppi elaborano a proposito delle proprie e altrui caratteristiche e abitudini nascono e si sorreggono perché sono giustificate da un quadro di valori assunto come uno stabile riferimento normativo. Il gruppo a cui appartengo è in ogni caso migliore, e rappresentato da valori morali più altri rispetto agli altri.
Nelle pratiche quotidiane, non importa cosa effettivamente fanno gli uomini e le donne, nemmeno se si tratta delle stesse attività, l’ordine di genere sottolinea che quanto essi fanno viene percepito come differente. Maschile e femminile vengono percepiti come opposti e presentati come complementari. Viene messo in secondo piano ciò che accomuna le esperienze di uomini e donne e le differenze che esistono tra gli uomini e tra le donne.
Le differenze di genere hanno storicamente prodotto una gerarchia tra gli status di uomo e donna: subordinazione femminile e dominio maschile. Ciò ha prodotto un sistema di diseguaglianze che si perpetua nelle società contemporanee (diseguaglianze nell’accesso al mercato del lavoro, nei livelli salariali, nell’uso del tempo libero, ecc.)
L’ISTAT ha pubblicato, il 25 novembre di quest’anno, il documento “Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale” riportando una serie di dati riferiti al 2018 estremamente rilevanti, che dimostrano come in Italia le problematiche derivanti dall’utilizzo degli stereotipi di genere siano così radicate da ritenere la violenza sessuale una responsabilità femminile.
Gli stereotipi di genere più comuni in Italia sono quelli che ritengono che per l’uomo il successo al lavoro è più importante che per la donna (32,5%), che gli uomini sono meno adatti a svolgere le faccende domestiche (31,5%) e che è l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia (27,9%).
I dati più importante da sottolineare, perché vengano prese le giuste contromisure, sono che il 39,3% della popolazione italiana ritiene che una donna è in grado di sottrarsi ad un rapporto sessuale se davvero non lo vuole e il 23,9% ritiene che la donna possa provocare la violenza sessuale con il suo modo di vestire. Uomini e donne hanno risposto allo stesso modo.
E’ necessario un intervento capillare a partire dall’educazione dei più piccoli, per sradicare queste convinzioni che delegano alla donna una responsabilità in quanto vittima di violenza sessuale, togliendo allo stesso tempo parte della colpa all’uomo che mette in atto la violenza.
Dott.ssa Francesca Masserdotti https://www.spaziomentecorpo.com/dott-ssa-francesca-masserdotti/
Gli stereotipi. Dinamiche psicologiche e contesto delle relazioni sociali. L. Arcuri, M. Cadinu, Il Mulino, 2011.