Fame biologica o fame emotiva?

di Francesca Masserdotti e Arianna Bianchi Piantini

In questo periodo particolare, in cui ci ritroviamo all’interno delle nostre case, con molto più tempo libero sentiamo la necessità di riempire le nostre giornate. Una delle attività che sta aumentando è la cucina. Questo è un bene, perché possiamo dedicarci a cibi creati in casa, invece degli spuntini veloci che spesso facciamo a causa dei ritmi serrati del lavoro. Anche le emozioni in questo momento sono più intense e probabilmente proviamo più emozioni negative. Ci sentiamo affaticati dalle notizie, dalle ordinanze, dalla mancanza di socialità o dalla troppa socialità obbligata all’interno delle nostre case. Anche per questo è importante tutelare la nostra salute, anche sapendo riconoscere la nostra fame. Mangiamo perché il nostro corpo ha bisogno di nutrienti essenziali o per noia, per tristezza, per rabbia? E’ fame biologica o fame emotiva?

Il comportamento alimentare ha aspetti biologici e psicologici: mangiare non è solo necessario per la sopravvivenza, ma il cibo veicola relazioni, significati, emozioni.

Alimentazione e fame emotiva
Il neonato e lo sviluppo del rapporto con il cibo

Il rapporto con il cibo si costruisce nel tempo: è conseguenza delle abitudini alimentari nell’infanzia ed è condizionato dall’ambiente familiare, sociale e dalle nostre emozioni. Se pensiamo al neonato, la bocca è la prima porta di comunicazione con il mondo. Le sensazioni provocate dalla bocca restano impresse in modo indelebile nella mente sotto forma di memoria e di giudizio. La bocca nel bambino piccolo unisce e separa l’interno dall’esterno, l’ambiente dall’individuo. Annusare, mettere in bocca e assaggiare costituiscono caratteristiche primarie di esplorazione dell’ambiente. Nel neonato la scansione del tempo si base sulla poppata, il legame con la madre si crea anche attraverso il seno, fonte di cibo e di consolazione. Il cibo è fonte di nutrimento, ma anche di piacere. La madre ha una forte preoccupazione per l’alimentazione del bambino e potrebbe rispondere con il cibo anche ad altri bisogni, che il bambino non è ancora in grado di esprimere, rendendo il cibo un oggetto gratificante e risolutivo per ogni problematica.

La fame e le emozioni

Durante una giornata sperimentiamo circa 40 diversi stati emotivi e alcuni di questi influenzano la nostra alimentazione. Il cibo è profondamente connesso alle emozioni e fa parte di tantissimi aspetti della nostra vita: è sempre sotto i nostri occhi e, in particolare nella nostra tradizione, fa parte di ogni evento sociale a cui partecipiamo. Non sempre mangiamo per fame e abbiamo a disposizione una fonte di benessere sempre presente, che ci permette di trovare sollievo in caso di stress ed emozioni negative, come ansia, tristezza, rabbia, noia.

Usare il cibo per sentirsi meglio non è di per sé sbagliato, lo diventa quando è un’abitudine, l’unica soluzione per raggiungere il benessere.

Quello che possiamo chiamare un “mangiatore emotivo” mangia per distaccarsi in qualche modo dalle emozioni che prova. Queste emozioni però, se non vengono affrontate, rimangono lì, e ci portano a ripetere questo comportamento come un circolo vizioso. La fame emotiva arriva in situazioni o attraverso processi di pensiero che fanno venire voglia di cibo, senza che esista un reale deficit di energia. Come in questo periodo, in cui siamo in casa, magari ci annoiamo perché non stiamo lavorando e non possiamo uscire, oppure siamo tristi e preoccupati per questa nuova malattia, o ancora abbiamo paura o proviamo rabbia perché quello che succede è al di fuori del nostro controllo.

Quando mangiamo in questo modo, mangiamo inconsapevolmente, perché non ci rendiamo conto che non abbiamo bisogno di cibo, ma di altro. La fame arriva improvvisamente e in pochi minuti sentiamo di dover mangiare, anche se abbiamo mangiato poco tempo prima, sentiamo questo bisogno impellente. Siamo disattenti, buttiamo dentro il cibo senza assaporarlo. Dobbiamo capire se è fame biologica o fame emotiva.

I comfort food

La fame emotiva richiede particolari alimenti, chiamati anche Comfort Foods:

– Siamo attratti da cibi grassi, salati o zuccherati

– dalle caseomorfine, derivate dalla caseina e presenti in latte e formaggi

– dalle glutinomorfine, derivate dal frumento.

Tutti questi tipi di alimenti interagiscono con i centri del piacere, a livello del sistema nervoso centrale, che stimolano un desiderio specifico di consumo degli stessi.

Spesso questa sensazione di fame rimane anche dopo che abbiamo mangiato, anche quando abbiamo raggiunto il senso di sazietà: il corpo ci dice una cosa, la mente un’altra. E’ essenziale per questo un lavoro sulle sensazioni, dobbiamo imparare di nuovo ad ascoltare i segnali che il nostro corpo ci invia e a riconoscerli.  Inoltre la nostra capacità di distinguere tra fame e sazietà diminuisce. Non sempre il bisogno alimentare coincide con il bisogno emotivo.

Cenni biologici

L’intestino viene considerato un secondo cervello. L’apparato digerente ha un suo sistema nervoso autonomo. I due cervelli (cervello e intestino) si influenzano reciprocamente, determinando il nostro stato di benessere psico-fisico. Per esempio, stati di stress mentali e pensieri negativi attivano i circuiti dell’ansia e della paura provocando aumento della motilità intestinale, che aumenta la sensibilità e l’infiammazione della mucosa intestinale. Questo può determinare, per esempio, l’insorgenza della sindrome del colon irritabile, oggi molto comune.

D’altro lato, stati di infiammazione intestinale possono portare ad una carenza di serotonina (ormone del buono umore) a livello del sistema nervoso centrale, con insorgenza di sintomi depressivi.

La serotonina è un neurotrasmettitore, chiamato anche ormone del buon umore, perché più serotonina abbiamo in circolo, maggiore sarà il nostro grado di appagamento, di soddisfazione e benessere psicofisico. Pensate che il 90% della serotonina è prodotta a livello intestinale. Quando proviamo emozioni negative, il livello di serotonina nel nostro corpo si abbassa. Tutti i cibi ricchi di zucchero hanno la capacità di aumentare i livelli di serotonina nel sistema nervoso centrale.

Quindi cosa succede quando siamo tristi? Per aumentare il livello di serotonina e quindi il tono dell’umore, la soluzione più semplice e sempre a portata di mano è mangiare cibi ricchi di zuccheri (zucchero bianco o di canna che troviamo in quasi tutti i dolci, biscotti, gelati…) e carboidrati (pane, pasta, cracker, grissini…).

Grazie a questo meccanismo proviamo una sensazione immediata di benessere che può portare però ad un altro circolo vizioso. Se la serotonina viene prodotta solo attraverso il cibo, ne avremo sempre più bisogno e mangeremo sempre di più favorendo anche patologie come il diabete.

Cosa fare

Esistono alcune semplici strategie che possono essere messe in atto per combattere la fame emotiva e capire se quella che proviamo è fame biologica o fame emotiva. Nel prossimo articolo troverete i consigli della psicoterapeuta e della nutrizionista. https://www.spaziomentecorpo.com/consigli-psicologici-e-alimentari-in-tempo-di-crisi/

Dott.ssa Francesca Masserdotti, psicoterapeuta: francesca.masserdotti85@gmail.com – 3895153299 – https://www.facebook.com/MasserdottiFrancescaPsicoterapeutaFunzionale/?modal=admin_todo_tour